Home / Blog / Edu / 30 Giugno 2021Intelligenza emotiva: non più un’opzione ma una necessità.
Le declinazioni dell’intelligenza emotiva.
Viene definita “intelligenza emotiva” la capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle di chi ci sta intorno, essere in grado di gestirle nei momenti di difficoltà senza lasciarsi troppo trasportare. Lo psicologo statunitense Daniel Goleman ne teorizza 5 aspetti nei suoi approfondimenti:
- la consapevolezza e la capacità di comprendere e analizzare le emozioni;
- il dominio di queste ovvero la capacità di analizzare il proprio mondo emozionale;
- l’abilità di agire e di giustificare l’azione in base a quanto abbiamo provato;
- l’empatia, cioè la facoltà mettersi nei panni degli altri;
- l’abilità sociale.
Rimanere lucidi e saper reagire sono considerate competenze importante dalla stessa OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che definisce le 10 life-skill dell’uomo fondamentali ad una vita più preparata e consapevole (tra queste ci sono anche empatia, pensiero creativo, comunicazione efficace). Quando un individuo pensa emotivamente dialoga con sé stesso. Questo dialogo emotivo diventa invece interpersonale e sociale quando vengono coinvolte altre persone. Non è solo un dialogo tra sé e sé che il singolo individuo esprime quando pensa emotivamente. Questo diventa interpersonale qualora ci siano più persone coinvolte.
Secondo un’ottica di continuo adattamento e una tendenza socio-culturale, particolare cura è data alle emozioni negative: sono queste che creano difficoltà maggiori e talvolta non si sa come gestirle. Non è possibile confutarne l’esistenza perché solo trovandosi di fronte ad una situazione invalidante, per quanto faticosa essa sia, sarà possibile uno sviluppo cognitivo.
Quindi non si tratta di insegnare l’intelligenza emotiva solo ai bambini – che faranno tesoro di quanto loro insegnato – ma di riflettere sull’importanza di un insegnamento emotivo anche per gli adulti. Per questi ultimi esistono infatti molti esercizi per gestire emozioni, molti dei quali vengono proposti sotto forma di video-corsi online più o meno strutturati.
Struttura e definizione delle emozioni.
Definire le emozioni e dare loro un nome non è un lavoro semplice, pertanto prima di ogni esercizio mirato, sarebbe bene chiarire quali sono le emozioni più frequenti e secondo quale architettura si configurano. Ci viene di nuovo in aiuto la psicologia che afferma che il nostro cervello è guidato da diverse emozioni, che si strutturano in:
- emozioni primarie;
- emozioni secondarie.
Tra le prime troviamo la gioia, la rabbia, la tristezza, la sorpresa, la paura e il disgusto. Sono le stesse emozioni che vediamo alla centrale di comando del cartone animato Insideout, che ha molto da dire sull’importanza di questo tema. Le emozioni primarie costituiscono il fondamento innato degli individui e si combinano tra loro per formare emozioni più complesse ovvero quelle secondarie quali l’invidia, il senso di colpa, la gelosia, la vergogna, la nostalgia etc. Le emozioni secondarie invece si perfezionano con la crescita del soggetto e attraverso la sua interazione con gli altri.
Dietro ogni emozione ci sono ragioni fisiologiche e di pensiero che possono arrivare fino a modificare un comportamento. Se, ad esempio, una persona si trova in una situazione di rischio, sarà la paura generata dal suo istinto di sopravvivenza a dominarla fino al punto di farlo percepire come un pericolo: da qui arriverà una risposta a livello decisionale più o meno risolutiva.
Vediamo ora alcuni esempi di esercizi da proporre nelle varie realtà scolastiche – sia per le scuole d’infanzia che per le elementari – per una educazione emotiva consapevole.
Alfabetizzazione emozionale: attività utili
Esistono diversi progetti che affrontano il tema dell’alfabetizzazione emozionale, tuttavia non c’è ancora un vero riconoscimento istituzionale.
Nell’ASL (Agenzia Sanitaria Locale) di Sondrio, il progetto “So dire sì, so dire no” promosso dalla regione Lombardia prevede – tra le diverse life-skill citate nel programma – la gestione delle emozioni.
Un primo esercizio è il gioco della margherita. A ciascun bambino vengono consegnate due margherite disegnate e vuote al loro interno, sulle quali c’è scritto “in classe sto bene quando” e “in classe non sto bene quando”. I bambini dovranno quindi scrivere all’interno dei petali quali sono le situazioni che li fanno stare bene e quali circostanze li fanno stare male, in una riflessione di ciò che avviene nella loro classe.
Sono accettate tutte le risposte, non ci sono risposte giuste e sbagliate, ma solo le percezioni concrete dell’ambiente scolastico. Dalle risposte raccolte, gli insegnanti possono già fare delle riflessioni: che tipo di clima c’è in classe? Il clima è tranquillo o ci sono delle ansie sottese?
Il discorso poi viene ampliato al plurale: le domande che vengono ora poste sono “in classe stiamo bene quando” e “in classe non stiamo bene quando”. Così, i bambini possono fare una delle prime esperienze dell’emozione empatia, cercando di captare il sentimento generale dei loro compagni.
Esercizi concreti di intelligenza emotiva.
Altre attività si basano sulla visualizzazione e sull’immaginazione dei bambini: si chiede a loro di chiudere gli occhi e immaginarsi una situazione descritta dai loro insegnanti. Ad esempio: “immagina di essere un cagnolino che vuole giocare con dei bambini con la palla ma vede che questi vogliono giocare solo tra loro. Poi immaginali mangiare la merenda mentre tu sei affamato. Come ti senti?”. In questo modo i bambini sapranno riconoscere le emozioni e sapere abbinare le espressioni facciali che farebbero in una situazione analoga. Ad un viso corrucciato corrisponde rabbia e delusione, ad un viso sorridente felicità o allegria, ad un viso perso nel vuoto un’emozione di noia e così via.
Questo esercizio si può fare anche per il riconoscimento di emozioni specifiche: se ad esempio vogliamo che i bambini riescano a riconoscere emozioni negative come la tristezza, proporremo loro uno scenario specifico come potrebbe essere quello di un giocattolo che si è rotto. Una volta focalizzata l’attenzione sull’emozione, i bambini sapranno anche indicare quali sono le parti del loro corpo più coinvolte nel cambiamento, ad esempio gli occhi lucidi. Insegnare loro a riconoscere questo sentimento permetterà loro di non venire sopraffatti dalla tristezza ma di saperla affrontare con il giusto spirito.
Il termometro delle emozioni, il cestino della rabbia ed il barattolo della felicità.
Un esercizio singolare che insegna le diverse intensità dei sentimenti è il termometro delle emozioni. Deriva dalle scale di atteggiamento utilizzate dall’analisi statistica e serve a misurare la forza delle emozioni a seconda di domande quali “quanto sei felice/triste/arrabbiato da 1 a 10?”. Ai bambini risulta di più semplice comprensione la similitudine tra la temperatura di un termometro e l’energia di una relazione rispetto a dover quantificare le emozioni senza strumenti di confronto. Le temperature più alte corrispondono alle emozioni più spiacevoli, perché anche una febbre alta è difficile da controllare e alleviare, così come è più difficile temperare un comportamento ostile. Ogni bambino è libero di indicare il suo stato d’animo, attribuendo alla scala delle emozioni sul termometro un valore a sua scelta, dal valore più basso al più alto (in ordine: davvero felice, felice, triste, deluso, arrabbiato, furibondo).
Invece tra gli esercizi proposti da Goleman per insegnare intelligenza emotiva, ritroviamo due piccoli luoghi di raccolta delle emozioni di ira e contentezza, il cestino della rabbia ed il barattolo della felicità.
Goleman, inoltre, consiglia di inividuare due piccoli luoghi di raccolta delle emozioni di ira e contentezza per insegnare intelligenza emotiva, chiamati il cestino della rabbia ed il barattolo della felicità.
Il bambino potrà in questo modo scrivere i suoi pensieri, annotando su un foglietto cosa lo fa arrabbiare e cosa invece gli fa provare sentimenti di gioia. Una volta raccolti diversi foglietti che si riferiranno a occasioni diverse, il bambino inserirà negli appositi contenitori il suo sentimento. Avrà, in futuro, la possibilità di ripescare i pensieri felici e riprovare quel bel sentimento, oppure analizzare da più punti di vista come mai un pensiero o una situazione lo abbia fatto particolarmente arrabbiare e capire come gestire meglio, le volte successive, questo sentimento.
L’aiuto genitoriale all’educazione emotiva.
Oltre a sostenere questi progetti con entusiasmo, il lavoro del genitore non finisce qui, ed è lo stesso Goleman a confermarlo. Una volta a casa, il bambino, deve essere messo in un ambiente sicuro. Deve quindi poter esprimere liberamente le proprie emozioni, pena l’annullamento di ogni esercizio che abbia avuto un qualche risultato positivo.
Ecco che il genitore svolge un ruolo importante: aiuta il bambino ad ascoltare le emozioni, dar loro un nome, a legittimarle nelle varie situazioni e a comprenderle. Infatti, negarle o sminuirle può avere l’effetto opposto, e portare a reazioni talvolta sproporzionate. Si deve partire dall’assunto che non esistono emozioni o sentimenti sbagliati, ma solo modi di gestirli errati.
Dare il buon esempio, inoltre, è una tecnica non indifferente da tenere a mente. Secondo la psicologia comportamentale, i bambini tendono ad imitare non solo gli adulti ma anche chi è più grande di loro anche solo di qualche anno. Non potendo controllare tutti gli sconosciuti che incontreranno nel loro cammino, l’unica accortezza che gli adulti possono assecondare è proprio quella di essere i principali modelli di riferimento ed emulazione dei loro figli. Se, ad esempio, un adulto si arrabbia e i suoi figli sono gli spettatori della sua reazione, è bene che questo non lanci oggetti in segno di ira o inizi ad urlare. Immancabilmente, il bambino prenderà spunto da questo esempio perché si fida delle decisioni del proprio genitore, e la prossima volta che si arrabbierà seguirà lo stesso iter comportamentale.