I titoli di studio delle Big Tech

Home / Blog / Work / I titoli di studio delle Big Tech12 Novembre 2020I titoli di studio delle Big Tech

Nell’agosto del 2019 Google ha pubblicato un comunicato stampa con una notizia tutt’altro che irrilevante, annunciando la pubblicazione di una serie di corsi di specializzazione su competenze digitali della durata di sei mesi e dello stesso valore dei corsi riconosciuti dalle istituzioni pubbliche, i Google Career Certificates. Il comunicato di Google, da un lato, conferma la direzione che era stata già intrapresa in passato, con la creazione di contenuti di e-learning che avevano permesso ad una grandissima fetta di popolazione mondiale di potersi avvicinare, almeno da un punto di vista nozionistico, ai contenuti del mondo digitale. Nei fatti, la nascita di una vera e propria accademia di Google sembrava un passaggio già annunciato.

I riconoscimenti che Google rilascerà ai suoi “laureati” hanno valore legale, anche se non è lo stesso della Laurea vera e propria rilasciata dall’Università così come la conosciamo. E questa che in qualche modo appare come una sfida al mondo accademico non è passata di certo inosservata. È però necessario fare chiarezza sotto questo aspetto, al fine di evitare fraintendimenti, il fatto che la certificazione Google abbia lo stesso identico valore di una Laurea tradizionale non è esatto, né si tratta di un aspetto ufficializzato da Google stesso o dagli enti pubblici.

IL PROGETTO E GLI OBIETTIVI

L’obiettivo dichiarato di Google è di offrire la possibilità, a chi non può permettersi di sostenere le rette universitarie americane, notoriamente elevate, di ricevere un’offerta di formazione specifica e qualificata che permetta un inserimento nel mondo del lavoro. Trattandosi di corsi online, tra l’altro, possono essere seguiti da qualunque punto del globo, riducendo anche i costi di spostamento. Così facendo, Google non solo avvia un vero e proprio business intorno ai corsi, ma forma delle nuove leve che, imparando le tecnologie proprie di Google, diventano in automatico possibili candidati per l’azienda stessa. I nuovi ingressi in azienda non avrebbero bisogno di formazione, già acquisita con il Career Certificate, e Google si ritroverebbe già forza lavoro immediatamente produttiva.

Da dove nasce il progetto? Nonostante il digital divide tecnologico (cioè di infrastrutture) almeno nel mondo occidentale sia sempre più ridotto, le competenze nel settore digitale e tecnologico continuano a non essere sufficienti per le aziende di tutto il mondo. La ricerca di Eurostat del 2019 mostra proprio questo aspetto, a causa del quale tantissime aziende non riescono a trovare la forza lavoro specificamente qualificata. Per tale ragione Google, in un contesto lavorativo e universitario completamente diverso da quello italiano ed europeo, ha creato la sua academy. Il mercato lavorativo statunitense, infatti, nonostante non metta in discussione il valore dell’istruzione pubblica/privata, sente l’esigenza di moltissime competenze che non vengono di solito insegnate o non sono al passo con le tecnologie emergenti.

Come si legge chiaramente nel sito dedicato, i Google Career Certificates sono articolati in quattro percorsi tutti inerenti al settore IT, che prevedono l’affiancamento di un mentor e un aiuto concreto nella ricerca del lavoro futuro, con la reale possibilità di essere inseriti presso Google o presso uno dei suoi partner commerciali. I quattro corsi corrispondono ad altrettante figure professionali, per le quali, a dimostrazione del valore delle competenze che verranno acquisite, viene associato lo stipendio medio annuo (RAL). Ecco le figure professionali in uscita dai corsi:

  • Data Analyst – L’obiettivo di questo corso è formare esperti nell’analisi dei dati, che saranno in grado alla fine del corso di processare, visualizzare e ottenere informazioni rilevanti per la Business Unit per cui hanno svolto l’analisi.
  • Project Manager – Questo corso si concentra sui fondamenti del tradizionale Project Manager (responsabile del progetto, dalla pianificazione alla conclusione) oltre alle conoscenze dell’Agile Project Management (APR).
  • UX Designer – UX è l’acronimo di User Experience, che rappresenta tutto ciò che riguarda l’esperienza dell’utente con il prodotto, in senso lato, con cui interagisce. Il compito di questa figura professionale è quella di progettare delle tecnologie che siano disegnate su misura dell’utente, più accessibili e più familiari.
  • IT Support Specialist – Questo corso intende formare un professionista che sia di supporto all’assistenza tecnica delle tecnologie informatiche. Gli specialisti del settore forniscono un buon servizio di assistenza al cliente e i loro campi operativi sono svariati, dall’assistenza sui sistemi operativi alla sorveglianza digitale.

UN MODELLO GIÀ DIFFUSO

Va detto che Google non è la prima a fornire corsi di formazione (in presenza e online) e certificati che hanno l’obiettivo di formare sulle competenze richieste dal mondo del lavoro. Sono molte le aziende che hanno creato un canale parallelo di riconoscimento delle competenze, basato principalmente sulla riconoscibilità del brand aziendale.

Una delle distinzioni che potremmo proporre tra i corsi che ci capita di incontrare, con un’esasperazione del fenomeno in rete, è proprio basata sull’oggetto della certificazione. Da una parte corsi che riconoscono il livello di conoscenza di un determinato prodotto, e spesso si tratta di corsi – anche di buona qualità – promossi dall’azienda stessa che ha sviluppato quello specifico prodotto. Dall’altra parte, ed è quella più interessante e vasta, il riconoscimento di un determinato livello di competenze in un settore anche – ma non esclusivamente – con uno scopo professionalizzante e di spendibilità della formazione acquisita. Gli esempi in questo secondo caso ovviamente sono infiniti.

Nel primo caso rientra, ad esempio, la certificazione delle competenze Office di Microsoft, con cui l’azienda, oltre ad offrire i vari prodotti contenuti nel pacchetto Office, fornisce la possibilità di raggiungere diversi livelli di certificazione. Lo stesso identico meccanismo si applica agli attestati di Adobe, Autodesk, Rhinoceros, SAP, solo per citare alcune grandissime aziende.

LinkedIn, il social network delle professioni e dei professionisti, con la sua piattaforma Learning (ex-Lynda.com) presenta corsi di varia natura, con una prevalenza per quelli in ambito IT, e rientra nella seconda categoria. Con l’acquisizione della piattaforma di e-learning nel 2016 LinkedIn ha acquisito una seconda mission: la condivisione delle conoscenze attraverso una ampia libreria digitale accessibile in abbonamento, i cui contenuti ricevono un’attenta cura editoriale. La cosa interessante, data la mission della piattaforma, è come tutte queste competenze vengono valutate a fini lavorativi. In una ricerca del 2016, LinkedIN mette in evidenza come il 76% dei professionisti vorrebbe un metodo certo per certificare le competenze dei curriculum presenti sul social network e far emergere il reale valore delle skills possedute. La risposta di Linkedin è arrivata tramite l’introduzione di miniquiz che, al raggiungimento di almeno il 70% delle risposte corrette, permette l’acquisizione di un badge.

IL DIBATTITO CON IL MONDO ACCADEMICO

Il comunicato di Google ha rinnovato un dibattito già iniziato negli anni scorsi, quando il numero di certificazioni digitali promosse dalle Big Tech cominciava a crescere. Nello specifico, il mondo accademico ha mosso una critica strutturale, chiedendosi se un attestato o una certificazione sono garanti delle competenze e abilità acquisite dagli utenti solo perché erogate da un marchio autorevole, oppure se un semplice corso di qualche centinaio di ore è sufficiente per cementare le basi di una professionalità.

Forse la domanda da porsi è anche nei termini di quanto studio sia necessario per conoscere una disciplina, o meglio, con una famosa domanda: “quante ore servono per diventare esperti in qualcosa?”. Una decina di anni fa divenne molto popolare la “regola delle diecimila ore”, spiegata nel libro “Fuoriclasse. Storia naturale del successo” del giornalista canadese Malcolm Gladwell. Gladwell elenca e spiega una serie di condizioni, a suo parere necessarie per diventare un fuoriclasse, e una di queste è la regola delle diecimila ore di studio. Bisogna impegnarsi per questa durata in qualsiasi campo, e si diventerà un campione di eccellenza, proprio come accaduto, secondo Gladwell, a Bill Gates nel campo dell’informatica o ai Beatles nella musica. Proprio per tali, opinabili, esempi, non sono mancate le critiche a Gladwell. La sua teoria, infatti, si basa su alcuni assunti pubblicati nel 1993 da uno studio accademico, che aveva notato una correlazione molto forte tra il numero di ore che, nella sua vita, un individuo di spicco aveva praticato in una determinata disciplina e la sua eccellenza in quel settore. Gladwell fu criticato proprio dagli autori di quello studio per aver frainteso molti passaggi chiave; inoltre, quegli studi furono successivamente smentiti da altri esperimenti. A parità di ore praticate, erano moltissimi altri i fattori intervenienti nelle capacità che un individuo possedeva in una disciplina, dimostrando che vi era comunque una differenza nonostante un minimo di ore di studio/pratica. Tra questi fattori, il talento è sicuramente il più importante di tutti, ed è più facile che le abilità dei Beatles siano più riconducibili ad un talento innato che a un numero specifico di ore di pratica, per riprendere l’esempio di Gladwell stesso. È più semplice dire, forse, che la verità sta nel mezzo. Se l’allenamento può migliorare ciò che si era in precedenza, è anche vero che questo concetto non funziona sempre.

Tornando al nostro caso studio, quello dei corsi online e alla “non-università” di Google, il dibattito trova argomentazioni valide sia da un versante che dall’altro. Il mercato del lavoro ha bisogno di competenze specifiche e che, soprattutto, tali competenze siano acquisite da un numero sempre maggiore di individui. Tuttavia, questo non significa che un corso di 120 ore sia considerabile alla stessa stregua di una Laurea Magistrale solo perché fornito da un marchio di fama mondiale.

PER APPROFONDIRE

 

cover image credit: Smithsonian (Accession number: 1948-128-37)



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