
Home / Blog / Work / 14 Gennaio 2021E-sport e gamer professionisti
Con la locuzione e-sport (electronic sport) si intende la pratica del giocare a prodotti digitali (videogiochi di tutti i tipi, non solo sportivi) a livello organizzato, competitivo e agonistico, in forma puramente professionistica. Letteralmente, giocare e partecipare a competizioni di livello mondiale diventa un lavoro e procura fonti di guadagno più o meno cospicue, tramite sponsor e investitori, che spendono per la propria immagine nei campionati mondiali e nei tornei. Numerose sono le competizioni organizzate in tutto il mondo, specialmente negli Stati Uniti e in Cina e, nonostante il movimento sia agli albori e non abbia ancora una Federazione mondiale, ogni nazione ne sta formando una propria, la cui gerarchia organizza ogni giorno di più il movimento mondiale.
L’Italia è il Paese con il maggior numero di campioni in rapporto alla quantità di gamer professionisti, che hanno trionfato più volte nei campionati mondiali dei vari e-sport. Il videogame, d’altronde, non solo in Italia ma in tutto il mondo, è uno dei fenomeni per eccellenza, se non il maggiore, che nel corso della fine del ventesimo secolo ha rivoluzionato il modo in cui i giovani pensano e vivono la realtà, diventando un vero e proprio fenomeno di massa.
Secondo un rapporto di Deloitte Global, il settore e-sport ha generato un fatturato di circa 400 milioni di dollari in tutto il mondo nel 2015, mentre nel 2016 di 500 milioni, con un pubblico vicino ai 150 milioni di persone, tra regolari e occasionali. Come riportato sulla Gazzetta dello Sport, “uno dei videogiochi più giocati al mondo, detentore di questo record su piattaforma PC, è League of Legends. La finale dei Worlds, l’equivalente dei mondiali, si è tenuta nel Bejing National Stadium. All’evento hanno assistito circa 73 milioni di spettatori”. Se consideriamo che le finali dell’NBA, il campionato americano di basket, ne ha contati 20 milioni ed è stato il più visto al mondo, abbiamo contezza della portata mastodontica di questo movimento.
IL VIDEOGIOCO COME FATTO SOCIALE TOTALE
Se volessimo tentare un paragone in termini di numeri, impatto sociale e velocità di crescita, il fenomeno del videogame trova un compagno nel gioco del calcio. Entriamo più nello specifico. Il sociologo Christian Bromberger definisce il calcio come un fatto sociale totale. Sono rari gli avvenimenti che possono essere definiti come fatti sociali totali, se con questo si intende fenomeni che mettono in moto in certi casi la totalità della società e delle sue istituzioni.
Quello che viene considerato come principale oggetto di studio è il carattere rituale del comportamento del pubblico degli stadi. Tale coinvolgimento rituale del pubblico della partita di calcio assume connotati sociologici molto ampi se lo si considera in relazione alla sua trasmissione in televisione e in streaming. La ripresa della gara, infatti, non si limita a riprodurre le gare di calcio, ma le ripresenta, le ricostruisce con una successione personale delle inquadrature, con regia e commenti che creano una distorsione arbitraria e fuorviante. Addirittura, anche le performance mediali “dal vivo” dei tifosi presenti fisicamente in uno stadio sono parte del prodotto televisivo fruito, ormai a pagamento, dall’audience. Il calcio si trasforma, dunque, in un’industria e, proprio come un’industria, mette in moto svariati aspetti della società, creando un indotto economico del quale non si può non tenere conto.
Tale meccanica si è ripresentata, con alcune differenze, ma soprattutto tantissime analogie, nel settore deli e-sport. Il movimento mondiale dei videogame ha mosso una grande quantità di dinamiche e soggetti della società, a partire dalle grandi aziende multinazionali che hanno investito in partnership e sponsorizzazioni multimilionarie, passando per le conseguenze politiche che tale giro di denaro comporta e finendo per la spinta mediatica automatica che il movimento ha ricevuto.
Analizziamo ulteriormente i numeri: il videogioco singolo più venduto di tutti i tempi è Minecraft, l’unico ad aver superato le 250 milioni di accessi, seguito dalla versione per Game Boy di Tetris, con oltre 170 milioni di copie e accessi, se invece parliamo di serie di videogiochi, la serie con il numero più elevato è Mario (serie di videogiochi), che ha venduto, contando sia i giochi della saga principale che gli spin-off, più di 1 miliardo di unità, mentre Pokémon è il secondo franchise videoludico a livello di vendite (vengono superate le 500 milioni di copie). Wii Sports è il gioco, uscito per una singola console, più venduto di tutti i tempi (100 milioni di accessi), mentre Fortnite, che più di tutti si avvale della connessione internet, ha toccato da poco i 250 milioni di utenti registrati.
Se a questi numeri moltiplichiamo il costo di console e PC su cui il videogioco viene riprodotto si raggiungono cifre incredibili. E c’è di più: la tecnologia e l’inserimento di internet in molte dinamiche di gioco ha permesso lo sviluppo di rapporti virtuali tra utenti di tutto il mondo, che hanno iniziato a gareggiare gli uni contro gli altri, individualmente o in gruppo, creando un movimento così grande da attirare l’attenzione di investitori.
Il giro economico impressionante che ne consegue non può risultare indifferente ai massimi sistemi che iniziano con l’ingaggiare gruppi di giocatori online sotto compenso per la partecipazione a tornei internazionali e ulteriore premio per l’eventuale successo nella competizione. Esattamente ciò che succede in una squadra di club di calcio, ma anche di pallavolo, basket o di qualunque altro sport si tratti. Tuttavia, proprio come il calcio, l’e-sport ha mosso una tale quantità di numeri da non poter passare inosservato e ha attirato i più grandi imprenditori di tutto il mondo, che adesso spingono per la crescita di questo sport.
VIDEOGIOCHI E DISABILITÀ
Dal punto di vista dell’aspetto economico del movimento, quello degli e-sport sembra un percorso simile a quello delle paralimpiadi. Per tanto tempo, infatti, i giochi olimpici riservati alle persone con disabilità non hanno ricevuto le stesse attenzioni economiche e mediatiche delle Olimpiadi, almeno fino a quando gli appassionati non hanno mostrato interesse e curiosità. Piuttosto emblematico è il caso delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro (2016). Alla vigilia, l’organizzazione era piuttosto scettica riguardo all’affluenza del pubblico alle gare paralimpiche, tanto che utilizzò parte del budget dedicato alle stesse per rafforzare l’apporto economico alle Olimpiadi. Non fu poca la sorpresa, quando i numeri del pubblico delle Paralimpiadi furono superiori a quelle delle Olimpiadi, dimostrando una volta per tutte quanto le prime non avessero nulla da invidiare alle seconde in termini di attrattiva verso il grande pubblico. Tra l’altro, le strade degli e-sport e delle persone con disabilità si incontrano e si intrecciano ulteriormente, se consideriamo che i videogiochi permettono a tutti di giocare, saltare, correre, senza alcuna distinzione. I videogiochi permettono agli individui con disabilità di sperimentare situazioni che possono essere difficili o limitate nel mondo reale, forniscono opportunità di social networking per mantenere la salute mentale ed emotiva, partecipando ad una delle più grandi reti in tutto il mondo, quella dei gamer. L’università del Nevada ha sviluppato una versione per ciechi di Guitar Hero, Blind Hero, un popolare videogioco che utilizza come periferica una speciale chitarra dotata di pulsanti che, attivata, produce oltre al suono anche immagini associate a ciascuna nota e che permette di avere uno o più giocatori che si sfidano, creando composizioni sulla base di tracce rock o di altro genere musicale. Nella versione per non vedenti la chitarra è sostituita da uno speciale guanto che fornisce all’utente stimoli tattili differenziati sulla base delle note, sostituendo così i pulsanti. La ricerca ha dimostrato come questo speciale tipo di accesso permetta una fruizione pressoché completa del gioco, coinvolgendo e divertendo i giocatori. Se, quindi, anche semplicemente a livello ludico, è possibile includere le persone con disabilità, sarà possibile farlo anche a livello agonistico. Il virtuale si pone in una dimensione parallela del reale e, in questo caso, permette anche a coloro su cui gravano disabilità di competere ad alti livelli.
I VIDEOGIOCHI COME SPORT
Come risultato dei dati importanti prodotti nel corso del tempo, non può sorprendere una conseguenza ai massimi sistemi, dovuta proprio a tutte quelle componenti della società stessa (politica, mercato, economia) che spingono per la crescita del movimento. Nell’ottobre del 2017, il CIO (Comitato Internazionale Olimpico), l’ente promotore e organizzatore di tutti i Giochi Olimpici, si riunisce per uno dei soliti incontri in cui si discute di tutto ciò che concerne le Olimpiadi. E la dichiarazione riportata da Ansa è storica: “I videogiochi sono sport”. “I massimi dirigenti dello sport mondiale, dopo un summit a Losanna, hanno fatto capire che gli e-sport non possono più essere ignorati, nonostante il presidente Thomas Bach si fosse detto in passato contrario” scrive Ansa.
E’ questo il momento in cui un cambio che appare epocale può avere inizio e, con esso, il percorso di inserimento nelle Olimpiadi dei videogame. Basterà, aggiunge il CIO, sottoscrivere la carta olimpica, dotarsi di strutture per combattere il doping, varare norme contro il rischio scommesse. La svolta epocale, se attuata concretamente, porterebbe anche ad un profondo ripensamento del concetto stesso di sport e, per tale ragione, ha scatenato sul web le reazioni discordanti di testate giornalistiche e utenti dei social network.
Uno dei dibattiti più accesi riguarda il contenuto non sempre eticamente accettabile dei videogiochi. Il presidente del Comitato Internazionale Olimpico, Thomas Bach, precisa che l’apertura si potrà verificare soltanto “nei confronti di quei giochi che non promuovano violenza e discriminazione in quanto i cosiddetti killer game, dal nostro punto di vista, sono contraddittori rispetto ai valori delle Olimpiadi e non possono essere accettati”. Tuttavia, gran parte della comunità mondiale dei gamer ritiene questa affermazione un semplice schermo che nasconde una verità più profonda, ovvero quella secondo cui il CIO faccia resistenza all’ingresso del nuovo sport all’interno dei giochi olimpici.
Se è vero che lo sport è l’insieme di attività che impegna, a livello agonistico oppure di esercizio, le capacità psicofisiche dell’atleta, che svolge una disciplina con finalità amatoriali oppure di professione, i videogiochi rispondono perfettamente a tale definizione. Un videogame impegna il cervello in modo costante e per più ore e il gamer elabora strategie per raggiungere il suo obiettivo, allo stesso identico modo in cui le squadre di calcio mettono in pratica le loro tattiche per mettere la palla nella rete avversaria. Un impegno e un’attitudine professionale che si sono spinti ad un livello superiore quando l’organizzazione dei tornei internazionali ha preso piede in modo massiccio.
Rimanere otto ore davanti al computer per giocare a Fortnite, per esempio, non è più un passatempo e un “semplice” sforzo mentale, ma equivale al livello di concentrazione e tensione emotiva di qualunque altro sport. Questo perché bisogna studiare delle strategie utili alla gara agonistica, che comporta delle retribuzioni e dei premi in caso di vittoria. Esattamente l’equivalente degli sport più popolari. È semplicemente la mancanza di preparazione atletica (intesa come tonificazione dei muscoli, resistenza, velocità di corsa o forza fisica) che stride all’orecchio di chi sente che i videogiochi sono sport.
L’APERTURA DEL CIO
Le dichiarazioni di Bach sono state avvertite dai molti come una scusa per rimandare un processo inevitabile. D’altronde non esistono solamente videogiochi violenti e sparatutto ed è possibile introdurre delle soluzioni alternative per permettere al movimento di fare il suo ingresso nei giochi olimpici. Paolo Besser, caporedattore di The Games Machine, la più longeva rivista del settore ad essere pubblicata in Occidente, superata nel mondo solo dalla rivista giapponese Famitsū, dice senza fare troppi giri di parole che ”i videogiochi sono un mezzo che permette ai giocatori di misurare la propria abilità in maniera oggettiva, sia nei confronti uomo-macchina, sia nelle gare tra uomini, in maniera piuttosto simile a uno sport. Benché io continui romanticamente ad associare il termine sport al concetto di sforzo fisico e abbia accolto la novità con un certo scetticismo, devo comunque accettare che prima dei videogiochi esistessero già degli sport che in qualche modo esulavano dalla tradizione. Voglio dire, se imbracciare un fucile e sparare a un piattello in movimento può essere considerato uno sport, non c’è motivo per cui non debba esserlo anche uno sparatutto in soggettiva”.
Nel 2018, il CIO cambia prospettiva. Il Comitato Olimpico Internazionale, infatti, ha collaborato con Intel per IEM Pyeongchang 2018, un evento incentrato su Starcraft II che si è tenuto in Corea del Sud una settimana prima delle Olimpiadi invernali del 2018. Poco dopo, Timo Lumme, amministratore delegato dei servizi televisivi e di marketing per il Comitato olimpico internazionale, ha dichiarato che l’organizzazione esplorerà ulteriormente le relazioni degli e-sport con il movimento olimpico e ha indicato la potenziale inclusione degli e-sport nei giochi olimpici come un “futuro eccitante”.
Il vertice olimpico del 2018 ha persino incoraggiato la “cooperazione accelerata” con gli e-sport. Il nuovo movimento mondiale, insomma, ha preso piede in modo sempre più veloce. Il settore dei videogiochi rappresenta oggi una realtà che non può essere ignorata sia dalle istituzioni che dalle organizzazioni e che, consequenzialmente alla sua portata, ha contribuito con la sua crescita anche ad una massiccia rivalutazione, sia in termini di fenomeno sociale che del ruolo al quale assurgono gli utilizzatori principali, i gamer, che non solo più semplici appassionati, ma veri e propri professionisti.