Home / Blog / Work / 2 Giugno 2022Settimana lavorativa breve, meno ore e più produttività
Oggi si parla molto della settimana lavorativa breve, che molti paesi europei stanno sperimentando. In Italia alcune aziende cercano di applicare nuovi modelli lavorativi, ma non c’è una proposta concreta da parte del governo. Questo non sorprende, infatti siamo uno dei paesi in cui si lavora di più, e con stipendi e produttività minori. Un cambiamento gioverebbe a tutti gli stati, infatti una ricerca dell’OMS riporta che 488 milioni di persone in tutto il mondo lavorano più di 55 ore settimanali. Non è difficile immaginare alcuni dei lati negativi di questa impostazione, tra cui il fortissimo impatto sulla salute.
Quali paesi?
I paesi europei ad aver adottato una settimana lavorativa corta sono:
- Francia. Paese all’avanguardia in questa tendenza, ha diminuito le ore di lavoro settimanali – passando da 39 a 35 – già nel 2002.
- Irlanda. Qui si lavora 34 ore a settimana, 9 ore in meno rispetto a trent’anni fa. A questa media contribuisce il fatto che molti lavoratori preferiscono impieghi part-time. Il salario medio ammonta a circa 38.000 euro all’anno.
- Norvegia. È risaputo che i paesi del nord Europa gestiscano il sistema lavorativo in modo diverso da noi, e la Norvegia ne è la prova. Infatti questo stato ha leggi sul lavoro molto elastiche, tutele per i neo-genitori, e anche qui c’è una netta preferenza per il part-time, soprattutto per i giovani. La media di ore lavorative a settimana è 33, e il reddito annuo medio è di 33.000 euro.
- Danimarca. Anche qui la flessibilità è una caratteristica diffusa nei contratti e sul lavoro. Infatti i lavoratori hanno diritto ad almeno 5 settimane di ferie e sono molto agevolati. Anche in questo caso si lavora 33 ore a settimana, ma con uno stipendio medio di 35.000€.
- Olanda. Paese in testa a tutte le classifiche: si lavorano 29 ore settimanali e lo stipendio è pari a quello danese. Anche qui i diritti dei lavoratori sono tutelati grazie a congedi parentali, ferie adeguate, assistenza medica.
- Islanda. Negli anni passati, l’Islanda ha condotto un esperimento che consisteva nell’introdurre la settimana lavorativa di 4 ore, senza tagli allo stipendio. Questa prova ha coinvolto per 5 anni (dal 2015 al 2019) 2.500 lavoratori del settore pubblico. I risultati non hanno lasciato dubbi: niente cali di produttività, miglioramento dell’equilibrio tra vita privata e lavoro, meno stress percepito dai lavoratori. In seguito all’esperimento, l’Islanda ha effettivamente accorciato la settimana lavorativa.
L’effetto pandemia
In questi casi si tratta di prove collaudate ormai da qualche anno, ma in altri stati è stata l’influenza della pandemia a cambiare le cose. È innegabile infatti che gli scorsi due anni abbiano modificato la prospettiva sul lavoro, aumentando la flessibilità e mettendo in luce problematiche di super lavoro. Una riduzione delle ore settimanali può avere diversi benefici, e creare nuovi posti di lavoro.
- Spagna. Da poco è nato un progetto sperimentale della durata di tre anni, che coinvolgerà alcune aziende sostenute dal governo. L’obiettivo è di convertire la settimana lavorativa a 32 ore, con vantaggi quantificabili per la riduzione dell’inquinamento, la riqualificazione della forza lavoro, l’aumento del benessere dei lavoratori. Inoltre Iñigo Errejòn, membro del Congresso dei deputati spagnolo e primo promotore dell’idea, sottolinea di voler dare maggior rilevanza alle nuove tecnologie di intelligenza artificiale.
- Giappone. La scelta di cambiare strada è particolarmente significativa in questo paese, in cui esiste il fenomeno del karoshi, la morte per troppo lavoro. Le nuove linee guida emanate dal governo hanno anche lo scopo di far passare ai lavoratori più tempo con la propria famiglia. Parlando di dati, già nel 2019 la sede giapponese di Microsoft ha condotto questo esperimento su alcuni dipendenti, che hanno mostrato un aumento di produttività del 40%.
- Nuova Zelanda. Per velocizzare la ripresa delle aziende dopo alcune settimane di chiusura dovute al covid, il primo ministro Jacinta Ardern ha proposto la settimana di quattro giorni. Alcune aziende, come la società neozelandese Unilever, hanno subito ridotto l’orario di lavoro senza cambiare le buste paga. Tra gli obiettivi di questo progetto c’era quello di promuovere il turismo domestico, ovvero quello dei residenti di un Paese, all’interno del Paese stesso.
E lo stipendio?
Una domanda che sorge spontanea è: “com’è possibile che lo stipendio rimanga intatto?” Le aziende che hanno adottato questa strategia hanno ovviamente dovuto lavorare su organizzazione e ottimizzazione. Il costo del lavoro aumenta, ma la qualità delle performance dei lavoratori e della brand equity (cioè quanto è conosciuta la marca nel proprio mercato) aumentano! Così aumenta anche la fiducia del cliente, e di conseguenza il guadagno finale. Un altro lato positivo della settimana lavorativa breve è la possibilità di introdurre nuove figure nell’organico.
L’Italia è così indietro?
Sì e no. Da un lato la situazione sembra sempre peggiorare, anche per le tecnologie che permettono a numerosi datori di lavoro di raggiungere gli impiegati a qualsiasi ora. Vi sono poi cali di assunzioni, lavori non retribuiti, erosione dei già fragili diritti dei lavoratori.
Uno spiraglio di luce però si intravede grazie ad alcuni esempi brillanti. Infatti non ci sono disposizioni ufficiali, ma alcune aziende hanno deciso di provare comunque ad introdurre la settimana lavorativa breve. Ad esempio, l’hanno fatto in via sperimentale Awin Italia e Carter & Benson. Entrambe le aziende hanno la propria sede principale all’esterno, e questo forse è significativo. Anche per loro, i risultati sono stati soddisfacenti e così l’esperimento si è trasformato in decisione permanente. I lavoratori fanno ora 8 ore in meno, e possono scegliere come distribuirle.
È tutto oro?
Ma se i lati positivi sono così tanti, perché non tutte le aziende italiane passano alla settimana lavorativa breve? Principalmente perché servirebbe un’agevolazione da parte dello Stato.
Inoltre, non per tutte realtà lavorative la riduzione delle ore di lavoro ha funzionato. Alcuni rischi esistono, come il fatto che i dipendenti si trovino a dover affrontare la stessa mole di lavoro, ma in meno tempo. L’assunzione di nuovo personale è un punto molto interessante se inserito tra i vantaggi, ma anche questo lato va ben organizzato perché non pesi sul bilancio finale.
Per approfondire:
- Wired > Japan overwork culture
- YATTA > Lavorare per vivere, non vivere per lavorare
- Huffington Post > Il tempo non è denaro
cover image credit: Smithsonian (Accession number: )
Chiara Giulia Stoppa