
Home / Blog / Design / 5 Giugno 2022L’inquinamento digitale di aziende e utenti
L’impronta ecologica digitale è un indicatore usato per capire quanto inquinamento digitale producono i nostri post sui social, le mail, i messaggi su Whatsapp. Si inserisce nel contesto della misurazione dell’impronta ecologica, che indica quante risorse naturali stiamo utilizzando, in rapporto alla capacità che esse hanno di essere rigenerate.
Come è possibile?
Il fatto che il traffico in Internet produca inquinamento è una cosa nota da tempo, ma che spesso risulta poco chiara. Infatti si pensa che usare Internet sia la scelta più sostenibile da quasi tutti i punti di vista: non si usa carta per leggere gli articoli di giornale, o plastica per i CD dato che tutta la musica è anche online. Ma ci sono altri fattori da tenere in considerazione per cui il digitale inquina. Per comprendere al meglio questo processo, bisogna considerare il traffico di dati come se fosse quello stradale. Da diversi anni ormai, il web “non dorme più”, quasi tutti siamo quasi sempre connessi alla rete – per svago o per lavoro. Il consumo energetico causato da questa situazione si traduce in emissione di anidride carbonica. Si stima che un solo server produca in un anno da 1 a 5 tonnellate di CO2, e se consideriamo quanti centri di elaborazione dati ci sono al mondo, le cifre sono da capogiro.
Trasparenza
Un utente, per conoscere l’impatto ambientale prodotto dal proprio gestore di dati, dovrebbe poter risalire alle fonti di energia utilizzate. Questo spesso non è possibile, perché le più grandi compagnie – tra cui Google, Amazon, Ibm, Microsoft – non rendono disponibili queste informazioni. Dichiarano pubblicamente di attuare piani di compensazione del carbonio, ad esempio piantando alberi in Africa e Sud America, ma questo non è abbastanza. Le aziende appena citate, da sole costituiscono quasi il 70% del mercato mondiale dei cloud. Alcune alternative sostenibili esistono però, come Aruba, società italiana che nel 2020 è diventata carbon negative. Grazie all’acquisizione della società Idroelettrica Veneta, Aruba riesce a compensare i propri consumi.
Inoltre, per scoraggiare l’atteggiamento noncurante delle aziende, alcuni investitori istituzionali, ad esempio, stanno richiedendo nuovi standard alle aziende che sovvenzionano.
Tantissimi rifiuti
Le emissioni, legate al traffico di dati, non sono però l’unico modo che ha la tecnologia per inquinare. Una grande problematica è anche quella dello smaltimento dei rifiuti. Il mondo del digitale è entrato in un loop per il quale escono continuamente device nuovi, che rendono i precedenti obsoleti, anche se funzionanti. Smartphone, console e televisori vengono cambiati molto di frequente, creando un grande volume di rifiuti. Ad alimentare questa tendenza, c’è anche il fatto che le nuove componenti dei prodotti elettronici durano meno rispetto al passato, e i costi delle riparazioni sono elevati.
Inoltre, i metalli preziosi che vengono utilizzati per costruire i device, presentano delle problematiche anche per la loro estrazione. Infatti si tratta di una risorsa molto sfruttata, la cui estrazione causa danni ambientali e sfruttamento di manodopera minorile. Anche lo smaltimento non è semplice, ma a questo riguardo, è esemplare il caso dell’Australia, dove sta aumentando il riciclo dei metalli rari e conduttori. È nata la miniera urbana, un laboratorio creato dalla ricercatrice Veena Sahajwalla per recuperare le parti utili degli strumenti tecnologici.
L’errore di Cingolani
Nel 2021 in Italia si è parlato molto di impronta ecologica digitale, e uno dei motivi più recenti è l’invito del fisico e ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, alla sobrietà digitale, quindi ad un utilizzo più limitato e consapevole di Internet.
“Come per tutte le tecnologie il suo [della tecnologia digitale] uso deve essere intelligente ed equilibrato: nessuna tecnologia è “gratis” e l’uso smodato delle piattaforme digitali rischia di vanificare i vantaggi intrinseci della transizione digitale.”
Nel “manifesto”, redatto per le pagine dell’Espresso, in cui espone questo appello, Cingolani fa riferimento anche ad alcuni dati, ma uno viene citato in modo scorretto. Così purtroppo, il suo discorso ha fatto parlare più di questo errore che non del messaggio che voleva far passare. Secondo le parole di Cingolani, “l’emissione di gas serra dovuta alle tecnologie digitali vale circa il 4% del valore totale”. Se ciò fosse vero, Internet produrrebbe più anidride carbonica del traffico aereo mondiale – che ne produce il 2% del totale.
Cosa fare per ridurre l’impronta
Il traffico dei dati è un problema ambientale da tempo, ma durante l’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19, questo è diventato ancora più serio. Tenendo presente che non tutto può essere risolto dal singolo utente, ognuno può comunque fare delle scelte sostenibili. Ad esempio:
- Non tenere tante tab aperte. Mentre consultiamo altre pagine, quelle aperte in background continuano a scambiare dati con il nostro computer. Per ovviare a questo problema, anche le aziende possono fare qualcosa, come progettare i propri siti e applicazioni in modo che se aperti ma non in uso, siano in una modalità di pausa.
- Informarsi sul proprio consumo. Come abbiamo visto, non sempre questo è possibile. Ma quando si può, è bene essere consapevoli delle emissioni causate dal tempo che passiamo online. Qui ad esempio si può scoprire quanto inquina Netflix mentre lo utilizziamo. Una buona soluzione per diminuire il consumo in questo caso, sarebbe di scaricare i film e poi guardarli offline (lo stesso vale anche per la musica).
- Ottimizzare i file. Limitare l’uso di file pesanti, archiviarli localmente, non tenere file inutili sul proprio computer. Tutto ciò che non è essenziale si può eliminare, come i contatti inutili, le newsletter che non leggiamo, gli allegati che spesso si inoltrano senza che ce ne sia bisogno. Per diminuire il traffico di allegati, si possono usare siti di archiviazione temporanea, come WeTransfer o MyAirBridge.
- Disabilitare funzioni non in uso. Non è necessario tenere sempre accese le funzioni Wifi, Gps, Bluetooth.
- Cancellare gli account inutilizzati. Anche questi continuano a consumare energia, potenzialmente per sempre.
- Sostituire i dispositivi quando necessario. Anche acquistare dispositivi ricondizionati è un buon metodo per essere più sostenibili.
Per approfondire:
- Rinnovabili > Aruba diventa carbon negative
- Agenda Digitale > L’impatto dei nostri device
- Yatta > Cop26
cover image credit: The Met (Accession number: )
Chiara Giulia Stoppa