Home / Blog / Design / 17 Dicembre 2021Cop26, le due facce degli accordi di Glasgow
«La negoziazione perfetta è quella che scontenta tutti» così ha commentato il testo definitivo del Glasgow Climate Pact il segretario di Stato americano John Kerry, a Glasgow come inviato sul clima plenipotenziario in rappresentanza del presidente Joe Biden. L’accordo che ha concluso la cop26 (Climate Change Conference) se ha infatti raggiunto alcuni risultati importanti, ha disatteso le aspettative di altri.
La Cop26
Il 13 novembre 2021 dopo 14 giorni si è conclusa a Glasgow la Cop 26, da molti definita come la migliore, nonché l’ultima opportunità del mondo per tenere sotto controllo le conseguenze devastanti dei cambiamenti climatici. Da quasi trent’anni l’ONU riunisce quasi tutti i Paesi del mondo per i vertici globali sul clima – chiamati Cop – ovvero “Conferenza delle Parti”. Dalle prime Cop ad oggi il cambiamento climatico è passato dall’essere una questione marginale a diventare una priorità globale. Da ottobre a novembre 2021 si è tenuto a Glasgow il ventiseiesimo vertice annuale. La maggior parte degli esperti nel campo dell’ambiente è concorde nel sottolineare il carattere straordinario e urgente della Cop26.
Per comprenderne le motivazioni è necessario guardare ad un’altra Cop. La Cop21 del 2015 si concluse con gli Accordi di Parigi, una svolta epocale: tutti i Paesi accettarono di collaborare per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi. Un traguardo importante, considerando che ogni decimale di grado di riscaldamento causerà la perdita di molte vite umane e danni ai nostri mezzi di sussistenza.
Inoltre, in quell’occasione i Paesi si impegnarono ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici e a mobilitare i fondi necessari per raggiungere questi obiettivi. Nel quadro degli Accordi di Parigi ciascun Paese si è impegnato a creare un piano nazionale indicante la misura della riduzione delle proprie emissioni, detto Nationally Determined Contribution (NDC) o “contributo determinato a livello nazionale”.
Tuttavia, gli impegni presi a Parigi non sono neanche lontanamente sufficienti per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, e la finestra utile per il raggiungimento di questo obiettivo si sta chiudendo. Per quanto, dunque, il vertice di Parigi sia stato un evento significativo, i Paesi dovranno spingersi ben oltre quanto fatto in quello storico vertice per mantenere viva la speranza di contenere l’aumento della temperatura a 1,5 motivo per il quale la Cop26 era un incontro decisivo.
I nove punti del Glasgow Climate Pact
Con gli accordi di Glasgow i Paesi contraenti hanno confermato nove punti sui quali intendono indirizzare l’azione di contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici:
1. Riconfermato l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature a 1,5 gradi e cioè tagliare le emissioni del 45% entro il 2030;
2. Stabilito il rallentamento del carbone “unabated” e cioè quello le cui emissioni non vengono abbattute congiuntamente ad uno stop ai sussidi delle fonti fossili inefficienti;
3. Le economie più ricche si impegnano a garantire lo stanziamento dei 100 miliardi promessi nel 2009 a Copenaghen alle economie meno sviluppate entro il 2023. L’impegno è di aumentare e persino raddoppiare gli stanziamenti in futuro tra il 2025 e il 2030;
4. Riconosciuto il diritto alle perdite e danni dei Paesi meno sviluppati ma più vulnerabili alla crisi del clima;
5. Regolamentato il mercato dei crediti ossia il sistema di scambio delle emissioni tra Paesi attraverso cui chi inquina meno compensa chi sfora i limiti;
6. Garantito un sistema di trasparenza del sistema di contabilità delle emissioni attraverso complesse tabelle Excel nelle quali gli Stati dichiarano le loro emissioni per attività sottoponendo i propri sforzi al giudizio altrui dal 2024;
7. Stipulati accordi collaterali: limitare le emissioni di metano del 30% rispetto a quelle del 2020 entro la fine del 2030;
8. Stabilita la raccomandazione (non l’obbligo) per ogni paese di fornire alle Nazioni Unite i suoi piani sul clima per cicli quinquennali;
9. Rinviata al 2022 della consegna dei piani nazionali dei paesi che non li hanno presentati adesso alla Cop27 di Sharm el Sheik dove una commissione annuale di verifica vaglierà le strategie sul clima dei vari paesi;
Da phase out a phase down
L’accordo è stato ritenuto da alcuni osservatori deludente e da altri come il migliore compromesso raggiungibile. L’impegno dell’uscita dal carbone e lo stop ai sussidi alle fonti fossili, inserito per la prima volta nella storia delle conferenze sul clima delle Nazioni Unite in una bozza iniziale che aveva galvanizzato i negoziati di Glasgow, viene ridimensionato a un rallentamento.
Nella sessione finale, l’India ha ottenuto l’inserimento di un emendamento che ammorbidisce il testo riguardante il carbone, smorzando l’efficacia dell’impegno preso. Non si parla più di phase out (eliminazione graduale), come originariamente proposto, ma di phase down (riduzione graduale).
I nuovi impegni della Cop26 costituiscono un miglioramento generale degli obiettivi di decarbonizzazione per il 2030, negoziati nel 2015 a Parigi. Alla Cop26 quasi tutti i partecipanti hanno inserito un obiettivo di raggiungimento della neutralità carbonica, seppure con tempi diversi. Per l’Unione Europea, gli Stati Uniti e un altro gruppo di paesi tale la scadenza è il 2050, mentre la Cina e l’India hanno proposto rispettivamente il 2060 e il 2070.
Sull’impatto degli impegni presi esistono pareri discordanti. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha indicato che essi limiterebbero l’incremento di temperatura alla fine del secolo a 1,8°C e sarebbero, grosso modo, in linea con gli accordi di Parigi. Altre fonti sono meno ottimiste. Il Climate Action Tracker, un’organizzazione che monitora e calcola gli effetti sul clima degli impegni di decarbonizzazione sulla base degli accordi, pronostica un riscaldamento di 2,4 °C per la fine del secolo.
La partita persa del loss and damages
La formula del “loss and damages” introdotta in ragione del fatto che alcuni paesi soffrono maggiormente di altri gli effetti dei cambiamenti climatici (uragani, siccità, innalzamento delle acque) prevede un risarcimento da parte delle economie più solide a quelle più deboli. Ci si aspettava che la Cop26 avrebbe rappresentato un punto di svolta nello stabilire un impegno concreto tramite un fondo dedicato e un meccanismo di restituzione, rendendo operativo il Santiago Network, una rete per mettere in contatto i paesi in via di sviluppo con aziende e operatori che possano fornire aiuto nell’affrontare la crisi climatica.
Al contrario, l’accordo finale riconosce solo il diritto a perdite e danni, ma non si accenna alle modalità di risarcimento né all’istituzione di un fondo. Il testo finale prevede solamente dei “dialoghi” per i prossimi due anni, un risultato ancora insufficiente per tutti i paesi e le comunità che già oggi soffrono tremende perdite e danni.
L’accordo sul metano
Uno degli accordi multilaterali collaterali ha previsto l’adesione di cento Stati a un’iniziativa guidata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea per la riduzione del 30% delle emissioni di metano entro il 2030. Si tratta di un importante traguardo, infatti il metano è un gas a effetto serra con un global warming potential 25 volte più elevato della CO2. In altre parole, in un arco temporale di 100 anni una tonnellata di metano riscalda come 25 tonnellate di CO2. L’iniziativa permetterebbe di limare di 0,2 gradi l’incremento di temperatura previsto al 2030. Nonostante Cina, Russa e Australia non abbiano sottoscritto l’accordo.
In definitiva, seppur gli accordi di Glasgow non abbiano sancito lo stop al carbone come sperato da molti paesi contraenti, la lenta riduzione stabilita è comunque da considerarsi un rilevante primo passo. A ciò si aggiunge l’accordo sul metano, un indiscutibilmente importante risultato.
Per approfondire
- Wired, Cop26 accordo sul clima
- ISPI, il bilancio degli accordi di Glasgow
- ISPI, video editoriale ISPI e IAI
Image cover credit: The Met
Vittoria Mineo